Il consiglio pastorale Stampa

Il consiglio Pastorale Parrocchiale nasce su precisa volontà di Don Guido Cutini negli anni 80.

SATATUTO DEL CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE

Consiglio pastorale

Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale.
Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano (c 536).
Secondo una diffusa mentalità, alla cui formazione avevano talora contribuito i pratici comportamenti di alcuni parroci, ai fedeli spettava quasi soltanto eseguire ciò che il parroco aveva programmato doversi fare.
Grazie al Concilio Vaticano II e al nuovo Codice di Diritto Canonico, è stata riscoperta la vera identità della parrocchia, la quale è una comunità di fedeli formata dai laici con il loro legittimo pastore, e perciò «deve essere una vera comunità di lavoro in cui tutti i membri assumono una parte di adulti: lo Spirito Santo parla a tutti e a tutte»
In conformità all’insegnamento del Vaticano II, che ha riaffermato la corresponsabilità dei laici nella vita e nella missione della Chiesa, il Codice sancisce il diritto dei fedeli di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri.
I fedeli, in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona (c 212, parr 1-2).
Il motivo che più di ogni altro richiede o suggerisce l’erezione del consiglio pastorale è che nella Chiesa nessuno può essere passivo: «I laici, radunati nei popolo di Dio e costituiti nell’unico Corpo di Cristo sotto un solo capo, chiunque essi siano, sono chiamati come membra vive a contribuire con tutte le loro forze, ricevute della bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua continua ascesa nella santità», e perciò «chi non operasse per la crescita del Corpo secondo la propria energia, dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso».
I consigli pastorali contribuiscono a coinvolgere i laici nella programmazione pastorale e ad offrire al parroco una più esatta conoscenza della realtà socio-culturale-religiosa del territorio.
I consigli pastorali sono inoltre «scuole e palestre che educano al senso e al servizio della comunione e contribuiscono, nella misura della loro natura e delle loro finalità, non solo a creare una mentalità nuova, ma a costruire la realtà e a rivelare la fisionomia nuova della Chiesa conciliare»
La prima condizione perché il consiglio pastorale sia strumento utile, è che il parroco ne sia convinto. Occorre che il parroco creda che «accogliere i laici nella collaborazione è un dovere; ascoltare le loro esperienze e i loro consigli è un arricchimento; assumerli non solo nella fase passiva dell’esecuzione, ma altresì in quella attiva della ricerca e delle decisioni è un riconoscimento dovuto all’azione dello Spirito Santo disceso in essi e ai doni di sapienza e di grazia che costituiscono il loro carisma per il vantaggio della comunità»
L’erezione del consiglio pastorale non è condizionato dal numero dei fedeli della parrocchia, ma dalla maturità e vitalità della comunità. Al limite, anzi, è più facile per le piccole che per le grandi parrocchie avere consigli pastorali attivi ed efficienti.
I principi e i criteri ai quali devono ispirarsi la costituzione e il funzionamento dei consigli pastorali vanno mutuati dalla ecclesiologia del Vaticano II , dalle Istruzioni della Santa Sede, dal Codice di Diritto Canonico e dal diritto particolare.


Presidente del consiglio pastorale è il parroco, perché a lui è affidata la comunità parrocchiale in qualità di pastore, a lui spetta il ruolo di animatore principale della pastorale, ed è il centro dell’unità e della comunione ecclesiale della parrocchia.
La funzione del consiglio pastorale, pur essendo soltanto consultiva, è peculiare ed importante. Deve perciò essere superata la concezione dualistica di un laicato che consiglia e di un clero che decide.
Si deve «camminare insieme» e quindi decidere insieme, anche se le decisioni, in ultima istanza, spettano gerarchicamente al parroco.
In analogia al consiglio pastorale diocesano, al consiglio pastorale parrocchiale spetta, sotto l’autorità del parroco, studiare, valutare e proporre conclusioni operative su tutto ciò che riguarda le attività pastorali della parrocchia (cf c 511), «affinché chi ha la responsabilità di reggere e guidare la comunità, possa più adeguatamente promuovere la conformità della vita e dell’attività del popolo cristiano con il Vangelo».
La designazione dei membri del consiglio pastorale deve essere fatta a norma del diritto diocesano e, solitamente, viene effettuata:
- per elezione diretta, a suffragio popolare: ha il vantaggio di interessare tutti, e lo svantaggio che i criteri di elezione possono essere di natura non ecclesiale;
- per elezione a suffragio popolare da parte di coloro che in parrocchia esercitano ministeri di fatto: ha il vantaggio di coinvolgere i fedeli più impegnati, e lo svantaggio che il gruppo che viene eletto sia troppo omogeneo;
- con un criterio misto: elezione fra persone ecclesialmente impegnate e in parte cooptate dal parroco.
Il numero dei componenti il consiglio pastorale non sia eccessivo, anche se deve essere adeguato a rappresentare tutte le condizioni sociali, le professioni e il ruolo che i membri hanno nell’apostolato.
Il Codice dispone che debbono far parte del consiglio pastorale coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio (c 536): è il caso, per esempio, dei vicari parrocchiali.
Possono essere designati a far parte del consiglio pastorale soltanto fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza (cf c 512, par 3).
Per evitare che il consiglio pastorale alteri la propria identità, il parroco non abdichi alla propria responsabilità decisionale e non affidi al consiglio pastorale compiti esecutivi, poiché il consiglio pastorale è organo essenzialmente consultivo.
È opportuno che le riunioni del consiglio pastorale abbiano un calendario preciso - per esempio ogni uno o due mesi e in giorno determinato - affinché gli incontri non abbiano a mano a mano a diradarsi e poi a scomparire.
La presenza attiva dei laici nei consigli pastorali costituisce una nuova e valida forma di partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa; ma richiede una formazione e una mentalità ecclesiale idonee, e che non si improvvisano.
Il consiglio pastorale è un «momento di Chiesa», e perciò la sua riuscita «non dipende tanto da aspetti giuridici, organizzativi, che pur hanno la loro importanza; ma dalla fede, dalla speranza, dalla carità dei suoi membri. Il consiglio pastorale ha come fondamento la carità e trova il suo costante riferimento alla Eucaristia».                                                                                                                                       «Il consiglio pastorale parrocchiale prima che per quello che fa deve caratterizzarsi per quello che è: un segno di unità per tutti; un luogo normale di conoscenza; un luogo di educazione al rispetto; un luogo di convergenze operative per armonizzare nella comunità ecclesiale i vari servizi dei singoli gruppi. È questo l’ideale della Chiesa: quello di sapere articolare quello che Dio ci ha dato in modo che vada a beneficio di tutti»

 

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